CENTRO DIREZIONALE, NAPOLI

CENTRO DIREZIONALE, NAPOLI

comune

Napoli

provincia

Napoli

località

estremi cronologici

1982 - 1995

tipologia

Centri direzionali

DESTINAZIONE

Centro direzionale

perchè tutelarla

Non si può parlare del Centro Direzionale di Napoli senza far cenno alla dibattuta questione sulla scelta dell'area - già considerata dagli anni Sessanta - e al planovolumetrico coordinato da Giulio De Luca. Per quanto attiene il primo punto, la decisione derivò dallo scopo principale di risanare la zona orientale e quella limitrofa alla stazione delle Ferrovie dello Stato. Già nel 1963 era stata approvata una "leggina" per trasferire nella zona prescelta il Palazzo di Giustizia, per la cui costruzione, dopo varie e travagliate manovre tra Comune, Ministero di Giustizia e immobiliari, prevalse la società Mededil costituita da immobiliari private romane, poi passata al gruppo Iri-Italstat. Finalmente, su indicazione del consiglio superiore dei LL.PP., nel 1968 la Giunta comunale approva il piano redatto dal gruppo De Luca che, anche se non adottato, ha posto le principali direttive per la conformazione urbanistico-architettonica del complesso. Il progetto De Luca prevedeva: la separazione tra l'asse viario e l'asse pedonale - il primo a una quota inferiore e l'altro a livello degli ingressi degli stabili; la divisione dell'intera area in diciotto lotti edificabili, primo fra tutti quello per il palazzo di Giustizia; la scelta delle tipologie edilizie atte a configurare i singoli edifici - quelli definiti "a piastra" dovevano occupare il 75% del suolo per un'altezza massima di 25 metri, mentre il rimanente 25% "a torre" doveva avere un'altezza variabile tra i 50 e i 100 metri. Quando la Mededil dovette concretizzare l'intervento, decise di affidare l'incarico di una nuova stesura del planovolumetrico a Kenzo Tange, personaggio di primaria grandezza nella cultura urbanistica e architettonica a livello mondiale, "al di sopra delle parti", ma accettato di buon grado anche dalle associazioni professionali principalmente perché egli non sarebbe stato implicato nella progettazione di alcun edificio, come disse qualcuno. Il progetto di quest'ultimo, approvato nel 1984, comprende un'area di 110 ettari, di cui 52 destinati a parco e strade pedonali, con 4.000.000 mc di costruzioni dei quali il 30% destinati ad abitazioni. Tre diversi assi - quello verde, quello pubblico e quello sportivo - caratterizzano l'impianto. Il punto più importante, in comune ai due piani, è rappresentato dalla separazione tra zona viaria e pedonale. Elemento dorsale è un nastro pedonale a verde, largo 70 metri e lungo 800, delimitato da "piastre" con porticato, con torri nella parte retrostante delle quali alcune sono adibite a residenze e altre a uffici. Oltre alle tipologie elencate e a tutte le attività di un Centro Direzionale - tribunale, uffici, banche, C.N.R. -, non mancano centri sportivi, chiesa e quanto altro attiene all'amministrazione pubblica e privata della città. «Nel progetto di Tange si possono anche leggere, riscoprendone i contenuti di modernità, i ritmi urbanistici della città ippodamea o i cento giardini della Napoli cinquecentesca, ma soprattutto in esso si concretizza un modo di vedere e di costruire che evita la facile trappola della pedissequa omogeneizzazione degli spazi e tende alle audacie innovatrici delle avanguardie e che qualcuno troppo superficialmente disdegna» (Vittoria 1985). L'arredo urbano del complesso è stato ideato e curato da Pierluigi Spadolini - con la consulenza di Pietro Porcinai e Cesare Borralla, nonché di Aldo Landi per la cura del verde - il quale ha progettato anche gli assi di collegamento, pedonali e tecnologici tra le aree carrabili, i parcheggi ed il nastro verde, gli spazi connettivi, la pavimentazione e tutto quanto fa parte dell'urban design. Gli aspetti negativi della realizzazione riscontrati negli anni, scaturiscono principalmente dalla scelta del sito: un'area già congestionata e mal collegata. Anche dal punto di vista socio-ambientale il complesso non ha atteso alle aspettative in quanto vi si svolge una vita "diurna" - legata a quella degli uffici - tale ché la densità abitativa è minima e gli abitanti si sentono isolati dal contatto umano della città. Bisogna, infine, considerare che «la macrostruttura, di impronta lecorbusiana, è stata in parte svalutata qualitativamente per molte architetture non in linea stilisticamente con quanto previsto nei piani originari» (Castagnaro 1998).

Mappa

* L'elenco completo degli autori e dei ruoli è consultabile sulla scheda del Censimento delle architetture italiane dal 1945 ad oggi.